Fuji-san
13/08/09 09:23
“Se non lo fai almeno una volta nella vita sei un pazzo. Se lo fai più di una volta nella vita, sei più che pazzo.”
Sembra incredibile trovare deserta la metropolitana di Tokyo ma, evidentemente al lunedì mattina ben prima dell'alba anche i Giapponesi dormono.
Tutto ritorna alla "normalità" non appena scendiamo alla stazione di Shinjuku, un vero e proprio sconfinato dedalo di corridoi, scale, sottopassi e tunnel, brulicante di migliaia di persone che si affrettano ordinatamente in ogni direzione.
Al punto d'incontro concordato, facciamo la conoscenza della nostra guida John, americano trapiantato e dei nostri compagni di avventura, tre americani e quattro canadesi. La scalata è organizzata da Fuji Mountain Guides, unico operatore che mette a disposizione guide esperte che parlano inglese. A causa dell'alta stagione la partenza viene posticipata di alcune ore, che trascorriamo sonnecchiando nella hall di un albergo. Rapido controllo dell'attrezzatura, e via verso il bus che ci porterà, in circa due ore, alla 5th station di Kawaguchiko a circa 2.500 metri slm.
Arrivati alla base della scalata, John ci fa notare come il piazzale sia insolitamente vuoto. E' il culmine della stagione e delle vacanze dei giapponesi che proprio in questi giorni si spostano in massa a compiere il rito della scalata al Fuji-san. Il possibile arrivo del tifone Morakot, che poi seminerà devastazione a Taiwan, ha scoraggiato la maggior parte degli scalatori.
Acquistiamo il tipico bastone da scalata: è esagonale in legno di cedro, con la parte superiore coperta da un cappuccio di tessuto rosso, sul quale sono impressi in bianco i caratteri kanji che significano "questo è il viaggio della purificazione". Sempre sul bastone sono applicati due campanelli, il cui tintinnio ci accompagnerà per i prossimi due giorni, proteggendoci dagli spiriti maligni.
Alle 14:00 cominciamo la nostra scalata, su quello che appare come un facile sentiero di cenere lavica con la verdissima vegetazione che fa da contrasto. Dopo circa un’ora di agevole ascesa, incontriamo il posto di controllo dei cortesi quanto scrupolosi Ranger. Il loro compito è di verificare che gli escursionisti siano adeguatamente equipaggiati e distribuire un dettagliato volantino sul percorso che ci attende. Mi salutano con un grande sorriso ed il rituale inchino dopo avermi chiesto da dove vengo.
La salita comincia a farsi più ripida e presto ci rendiamo conto che arrivare in cima non sarà uno scherzo.
Il clima varia velocemente, nuvoloso, nebbia, sole ed è sempre molto umido: fa caldo, si suda e poi improvvisamente ombra e vento freddo sferzano.
Di tanto in tanto ci fermiamo a riposare presso le baite che s'incontrano con una certa frequenza, ma senza entrare e goderci il tepore del piccolo focolare ricavato nel pavimento.
Noi saliamo ed il sole cala. Ad ogni sosta estraiamo un nuovo capo d'abbigliamento dallo zaino e presto sarà ora di accendere le headlamp.
L'ultima ora di salita della giornata l'affrontiamo al buio e con la stanchezza si comincia a far sentire anche il freddo ma, a quota 3.500 metri ci aspetta il rifugio con un bel piatto caldo di manzo al curry e riso. Alle 20:00 dopo circa sei ore di ascesa, ci possiamo finalmente riposare con le gambe sotto il tavolo.
Il dopo cena è breve, giusto il tempo di affacciarsi fuori e scorgere laggiù in basso la pianura, con le luci delle città. Le nuvole si sono diradate e la vista spazia fino alle luci di Tokyo.
E' ora di andare a letto. Letto si fa per dire. Al piano superiore del rifugio c'è un lungo e stretto corridoio che separa due lunghissimi letti a castello: su ogni piano dei due lati c'è "posto" per circa cinquanta persone. Ci accomodiamo spalla a spalla, con lo zaino e la sacca degli scarponi dietro la testa. Tutto è rigorosamente dimensionato per la stazza del giapponese medio...
Dopo aver combattuto con la digestione del curry, la scomodità del giaciglio e le inevitabili sinfonie notturne ci si sveglia belli freschi alle 1.30 del mattino.
"This will blow your mind!" aveva detto John la mattina precedente, facendo riferimento alla sveglia notturna. Non ho ancora trovato una definizione migliore. Ci attendono le ultime due ore di salita, la parte più ripida. Un "caffè" ed una barretta ci consolano.
E’ una notte senza luna e volgendo lo sguardo indietro, verso il basso, vediamo il sentiero disegnato dalle luci degli scalatori sulle nere pendici del vulcano.
Poco prima delle quattro siamo in cima e mentre l’orizzonte si rischiara, i monaci cominciano ad aprire il piccolo tempio affacciato al sorgere del sole.
Fa freddo e siamo stanchi ma lo splendore dell’alba più sacra del Giappone ci rapisce e ripaga di tutto.
Ci riscaldiamo con un’eccelente ciotola di Udon e ci affacciamo all’interno del cratere, proprio nel momento in cui una forte scossa di terremoto ci ricorda di essere in cima ad un vulcano in una delle zone più attive del pianeta.
E’ ora di riprendere il cammino e tornare a valle, ma non prima di aver fatto marchiare a fuoco i nostri bastoni a testimonianza della quota raggiunta.
La discesa è su un sentiero diverso, un infinito zigzag di sei ore su aspra terra e roccia rossa.
La pioggia battente ci accompagna nell’ultima ora di cammino e finalmente giungiamo fradici e stremati alla 5th station, da dove eravamo partiti una ventina di ore prima.
Davanti ad un thé verde bollente mi tornano in mente le parole della guida: “se non lo fai almeno una volta nella vita sei un pazzo. Se lo fai più di una volta nella vita, sei più che pazzo.”
Lascia un commendo cliccando qui sotto.
Sembra incredibile trovare deserta la metropolitana di Tokyo ma, evidentemente al lunedì mattina ben prima dell'alba anche i Giapponesi dormono.
Tutto ritorna alla "normalità" non appena scendiamo alla stazione di Shinjuku, un vero e proprio sconfinato dedalo di corridoi, scale, sottopassi e tunnel, brulicante di migliaia di persone che si affrettano ordinatamente in ogni direzione.
Al punto d'incontro concordato, facciamo la conoscenza della nostra guida John, americano trapiantato e dei nostri compagni di avventura, tre americani e quattro canadesi. La scalata è organizzata da Fuji Mountain Guides, unico operatore che mette a disposizione guide esperte che parlano inglese. A causa dell'alta stagione la partenza viene posticipata di alcune ore, che trascorriamo sonnecchiando nella hall di un albergo. Rapido controllo dell'attrezzatura, e via verso il bus che ci porterà, in circa due ore, alla 5th station di Kawaguchiko a circa 2.500 metri slm.
Arrivati alla base della scalata, John ci fa notare come il piazzale sia insolitamente vuoto. E' il culmine della stagione e delle vacanze dei giapponesi che proprio in questi giorni si spostano in massa a compiere il rito della scalata al Fuji-san. Il possibile arrivo del tifone Morakot, che poi seminerà devastazione a Taiwan, ha scoraggiato la maggior parte degli scalatori.
Acquistiamo il tipico bastone da scalata: è esagonale in legno di cedro, con la parte superiore coperta da un cappuccio di tessuto rosso, sul quale sono impressi in bianco i caratteri kanji che significano "questo è il viaggio della purificazione". Sempre sul bastone sono applicati due campanelli, il cui tintinnio ci accompagnerà per i prossimi due giorni, proteggendoci dagli spiriti maligni.
Alle 14:00 cominciamo la nostra scalata, su quello che appare come un facile sentiero di cenere lavica con la verdissima vegetazione che fa da contrasto. Dopo circa un’ora di agevole ascesa, incontriamo il posto di controllo dei cortesi quanto scrupolosi Ranger. Il loro compito è di verificare che gli escursionisti siano adeguatamente equipaggiati e distribuire un dettagliato volantino sul percorso che ci attende. Mi salutano con un grande sorriso ed il rituale inchino dopo avermi chiesto da dove vengo.
La salita comincia a farsi più ripida e presto ci rendiamo conto che arrivare in cima non sarà uno scherzo.
Il clima varia velocemente, nuvoloso, nebbia, sole ed è sempre molto umido: fa caldo, si suda e poi improvvisamente ombra e vento freddo sferzano.
Di tanto in tanto ci fermiamo a riposare presso le baite che s'incontrano con una certa frequenza, ma senza entrare e goderci il tepore del piccolo focolare ricavato nel pavimento.
Noi saliamo ed il sole cala. Ad ogni sosta estraiamo un nuovo capo d'abbigliamento dallo zaino e presto sarà ora di accendere le headlamp.
L'ultima ora di salita della giornata l'affrontiamo al buio e con la stanchezza si comincia a far sentire anche il freddo ma, a quota 3.500 metri ci aspetta il rifugio con un bel piatto caldo di manzo al curry e riso. Alle 20:00 dopo circa sei ore di ascesa, ci possiamo finalmente riposare con le gambe sotto il tavolo.
Il dopo cena è breve, giusto il tempo di affacciarsi fuori e scorgere laggiù in basso la pianura, con le luci delle città. Le nuvole si sono diradate e la vista spazia fino alle luci di Tokyo.
E' ora di andare a letto. Letto si fa per dire. Al piano superiore del rifugio c'è un lungo e stretto corridoio che separa due lunghissimi letti a castello: su ogni piano dei due lati c'è "posto" per circa cinquanta persone. Ci accomodiamo spalla a spalla, con lo zaino e la sacca degli scarponi dietro la testa. Tutto è rigorosamente dimensionato per la stazza del giapponese medio...
Dopo aver combattuto con la digestione del curry, la scomodità del giaciglio e le inevitabili sinfonie notturne ci si sveglia belli freschi alle 1.30 del mattino.
"This will blow your mind!" aveva detto John la mattina precedente, facendo riferimento alla sveglia notturna. Non ho ancora trovato una definizione migliore. Ci attendono le ultime due ore di salita, la parte più ripida. Un "caffè" ed una barretta ci consolano.
E’ una notte senza luna e volgendo lo sguardo indietro, verso il basso, vediamo il sentiero disegnato dalle luci degli scalatori sulle nere pendici del vulcano.
Poco prima delle quattro siamo in cima e mentre l’orizzonte si rischiara, i monaci cominciano ad aprire il piccolo tempio affacciato al sorgere del sole.
Fa freddo e siamo stanchi ma lo splendore dell’alba più sacra del Giappone ci rapisce e ripaga di tutto.
Ci riscaldiamo con un’eccelente ciotola di Udon e ci affacciamo all’interno del cratere, proprio nel momento in cui una forte scossa di terremoto ci ricorda di essere in cima ad un vulcano in una delle zone più attive del pianeta.
E’ ora di riprendere il cammino e tornare a valle, ma non prima di aver fatto marchiare a fuoco i nostri bastoni a testimonianza della quota raggiunta.
La discesa è su un sentiero diverso, un infinito zigzag di sei ore su aspra terra e roccia rossa.
La pioggia battente ci accompagna nell’ultima ora di cammino e finalmente giungiamo fradici e stremati alla 5th station, da dove eravamo partiti una ventina di ore prima.
Davanti ad un thé verde bollente mi tornano in mente le parole della guida: “se non lo fai almeno una volta nella vita sei un pazzo. Se lo fai più di una volta nella vita, sei più che pazzo.”
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